Nell’ultimo secolo, l’autismo ha conosciuto un importante evoluzione in termini di definizione, appellazione e criteri diagnostici. Basta osservare, ad esempio, l’evoluzione nelle varie versioni del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders): nella prima versione nel 1952 si classificava ciò che oggi chiamiamo volgarmente autismo nella categoria “psicosi infantili” mentre, nell’ultima versione, il DSM V del 2015 si parla invece di disturbi del neuro sviluppo. L’evoluzione è quindi piuttosto flagrante. Anche i criteri diagnostici hanno conosciuto la stessa importante evoluzione per arrivare all’attuale diade autistica.
Inutile precisare che, in parallelo ai cambiamenti legati alla definizione e ai criteri diagnostici, si sono sviluppati una moltitudine di tecniche terapeutiche, educative, approcci psicologici e chi più ne ha più ne metta. Questo largo ventaglio di possibilità porta con se la positività della ricerca che avanza ma porta anche un enorme bagaglio di confusione, soprattutto per le famiglie.
Cosi come in un negozio in cui troppi articoli ci confondono e ci fann perdere di vista ciò che cerchiamo, cosi questa quantità infinita di possibilità da alle famiglie delle persone con autismo l’impressione di essere in un labirinto infinito. Quali approcci funzionano? In che modo? Per chi?
Un elemento fondamentale da sottolineare per tentare di rispondere a queste domande potrebbe essere l’obiettivo. Certo ogni approccio educativo ha i propri metodi e strategie, ma prima di tutto una domanda: a quale scopo? E’ in questa domanda che risiede, a nostro modesto avvisto, la differenza fondamentale. Qualunque sia il metodo scelto per risolvere una problematica, non avremo lo stesso obiettivo se abbiamo di fronte un bambino piuttosto che un adulto. Proprio poiché l’obiettivo non è lo stesso non applicheremo il metodo x nella stessa maniera.
Proviamo quindi ad analizzare i diversi metodi utilizzati oggi. Non potendoli elencare tutti, abbiamo deciso di soffermarci sui tre metodi approvati dall’OMS: ABA, TEACCH, ESDM.
ABA
Acronimo di Applied Behavior Analysis (Analisi applicate del comportamento), il metodo ABA fu portato da Lovaas nel 1960. Professore dell’università della California, Lovaas prese i principi base del comportamentalismo e li applico con dei bambini con disturbi dello spettro autistico. Il comportamentalismo, che è quindi la base teorica su cui poggia il metodo ABA, parte dall’enunciato che il comportamento non è che il risultato dell’influenza degli elementi esterni. Con l’aiuto di elementi considerati dalla persona come “rinforzi positivi” (abbiamo già trattato questo argomento in un precedente articolo) si può quindi modificare il comportamento.
La base stessa dell’analisi del comportamento si poggia quindi sull’osservazione della persona, la ricerca dell’elemento che provoca il comportamento e, se necessario, trovare la strategia più adatta per modificarlo.
Uno strumento particolarmente usato a livello mondiale è la griglia di osservazione ABC in cui si cerca l’antecedente (ciò che precede il comportamento), la descrizione comportamentale e ciò che accade subito dopo. Esistono poi degli strumenti visivi che, sempre con l’aiuto dei rinforzi, permettono di sequenziare un azione a guidare l’apprendimento.
Ora, la domanda cruciale: per chi? Diversi sono ancora i professionisti che sostengono un efficacia sempre più limitata con il crescere della persona con autismo. Sicuramente e per motivi puramente fisiologici (plasticità cerebrale) è più facile apprendere da bambini che da adulti. Aggiungiamo ugualmente il fatto che è più semplice guidare uno sviluppo piuttosto che modificarlo. Per fare un esempio pratico, sarà più facile intervenire con un bambino che comincia a farsi del male per ottenere qualcosa, qualunque sia il rinforzo utilizzato, che modificare questo stesso comportamento adottato da un adulto. Ma tra difficile e impossibile la differenza è enorme.
Come già anticipato nell’introduzione di questo articolo, l’esperienza di tanti anni come educatrice per persone adulte con disturbi dello spettro autistico mi insegna che, prima di adottare un qualsiasi intervento comportamentale ci si deve porre una domanda: a quale scopo? Qual è l’obiettivo?
Il vero e unico limite del ricorso al metodo ABA con le persone adulte risiede nell’obiettivo dell’intervento. Se per i bambini si tratta di accompagnare e ristabilire lo sviluppo, per l’adulto si tratta di ricerca dell’autonomia, favorire l’autonomia.
TEACCH
Malgrado i molteplici punti in comune con il metodo comportamentale di Lovaas, l’approccio del contemporaneo Richler ha una teoria di base più cognitivista.
Mentre il metodo ABA si basa unicamente sui comportamenti, il metodo TEACCH (Treatment and Education of Autistic and other Communication-handicapped Children) di Richler prende in conto le specificità cognitive dell’autismo e tenta di “strutturare” gli apprendimenti e l’ambiente per aiutare la persona e renderla più autonoma.
Le ricerche di Richler portano quindi il suo metodo ad appoggiarsi a sette principi fondamentali:
- affinché la persona possa imparare nuove abilità, è necessario prima adattare l’ambiente alle sue difficoltà.
- Si dà una grande importanza alla rete di professionisti e alla collaborazione con le figure centrali per la persona con autismo
- Ogni persona possiede dei punti di forza e delle difficoltà. Con delle valutazioni specifiche dette “funzionali” bisogna individuare questi punti poiché i primi guideranno i progetti individuali per essere valorizzati e i secondi vanno accettati e limitati il più possibile
- Analisi dei comportamenti da un punto di vista cognitivo
- Strumenti di valutazione specifici al metodo TEACCH: CARS, PEP, TTAP (di cui abbiamo parlato in un articolo precedente)
- l’importanza di un ambiente strutturato e di supporti visivi per poter insegnare nuove abilità
- partecipazione attiva delle persone di riferimento.
Esattamente come il metodo ABA, l’approccio TEACCH sostiene e promuove un intervento il più precoce possibile per far si che sia efficace. Ma per le persone adulte?
Nella pratica reale, qualche lettore potrà senza dubbio esprimere un disaccordo, ma per gli adulti la vera efficacia si trova proprio nell’unione dei due metodi.
ESDM
Early Start Denver Model, conosciuto anche come metodo Denver, è un approccio interdisciplinare destinato all’intervento precoce (bambini dai 12 ai 60 mesi).
Si tratta di un intervento relazionale che prende in conto la sfera dello sviluppo e del comportamento e che usa il gioco come unico strumento terapeutico. Le preferenze del bambino sono l’elemento centrale della terapia, basata sulle tecniche proprie del metodo ABA. Uno dei principali obiettivi dell’intervento ESDM è l’incremento dello sviluppo della comunicazione sociale attraverso il gioco.
Per alcuni professionisti del settore, il modello Denver non è altro che una forma particolarmente precoce di intervento ABA in cui il gioco, in tutte le sue forme, è l’unico rinforzo utilizzato.
Di certo le basi teoriche su cui si costruisce l’approccio ESDM riguardano solo i primi mesi dello sviluppo cognitivo…..ma, e anche qui è l’esperienza che parla, come poter affermare che “primi mesi dello sviluppo” riguarda l’aspetto cronologico?
Diverse sono oggi le ricerche in cui questo metodo è applicato a delle persone adulte con autismo severo in cui l’età dello sviluppo è rimasta ferma agli stessi primi mesi.
Tengo a precisare che una delle valutazioni più usate mondialmente nell’ambito dell’intervento educativo specifico ai disturbi autistici è la scala Vineland-II in cui, e non per caso, si cerca di calcolare l’età dello sviluppo…
CONCLUSIONI
Prima di trarre delle conclusioni dopo aver presentati questi tre approcci centrali, ricordiamoci che Assistenza Viva Autismo si dedica in particolar modo all’accompagnamento delle persone adulte con disturbi dello spettro autistico. Con questo articolo non vogliamo quindi entrare nella polemica “quale dei tre è più efficace”. L’intento e il solo obiettivo è quello di riflettere su come utilizzare questi metodi, che hanno già provato la loro efficacità negli interventi precoci nell’infanzia, nel mondo degli adulti.
Abbiamo già visto come il metodo ABA tende a modificare alcuni comportamenti dopo averne fatto un analisi funzionale; di certo questo metodo è il più efficace per i comportamenti problematici qualunque sia l’età, ma, trattandosi di un adulto, che cosa ci impedisce di utilizzare al tempo stesso un approccio di tipo TEACCH per strutturare l’ambiente e andare cosi a limitare le difficoltà legate all’età?
Di sicuro l’intervento ESDM è pensato e strutturato all’intervento precoce, ma perché non adattarlo di fronte ad un adulto il cui risultato alla valutazione Vineland-II ci dice che ha un età di sviluppo pari a 15 mesi?
Riflettiamoci…..